La comunità attualmente presente all'eremo appartiene all'antica Congregazione camaldolese dell'ordine di san Benedetto, che ha la sua casa madre a Camaldoli (Arezzo), fondata tra il 1012 e il 1024 da San Romualdo di Ravenna, riformatore in senso eremitico del monachesimo benedettino.
Caratteristica della regola di san Benedetto è una vita consacrata alla ricerca di Dio nel seno di una comunità di fratelli, i quali si pongono sotto la guida della regola e di un superiore per essere fedeli al Vangelo. Il monastero, o cenobio, costituisce una "scuola del servizio di Dio" (Regola di san Benedetto, prol. 45): La preghiera liturgica, la "lectio divina" (lettura orante delle sacre scritture), e il lavoro necessario al mantenimento in un regime di semplicità ed essenzialità, scandiscono la giornata dei monaci.
La fortuna della regola benedettina fu tale da soppiantare progressivamente ogni altra forma di vita monastica in occidente.
Peculiare della riforma di Romualdo, monaco ed eremita vissuto tra il 952 e il 1027 è l'innesto, all'interno della, tradizione comunitaria benedettina, di strutture istituzionali che consentissero di vivere il carisma di una vita di solitudine ad edificazione di tutti. Come la comunità è il luogo dell'esercizio della carità fraterna, perché "chi non ama suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4,20), così la solitudine e il silenzio sono il luogo del confronto personale con Dio che chiama ciascuno a una risposta d'amore unica e irripetibile. Questo ha il suo riflesso anche nelle strutture architettoniche: in particolare per gli eremi, è caratteristica la costruzione di un complesso di celle singole aggregate intorno ad edifici di utilizzazione comune e alla chiesa, luogo di ritrovo per la celebrazione comunitaria delle lodi di Dio e dell'Eucaristia.
Dimensione cenobitica e dimensione eremitica costituiscono pertanto nella vita dei singoli e delle comunità camaldolesi una realtà unitaria, all'interno della quale si esprime una dialettica di tensioni che in un testo della primitiva tradizione romualdina è espresso come un "triplice bene": "la vita cenobitica che i novizi desiderano, l'aurea solitudine per i maturi assetati del Dio vivente, e l'annunzio evangelico tra i pagani nella prospettiva dei martirio per chi anela alla liberazione e all'essere con Cristo" (Bruno di Qerfurt, Vita dei cinque fratelli, 2). A questo spirito originario intendono essere fedeli ciascun fratello secondo i propri carismi e le comunità secondo la loro specifica fisionomia, nella attenzione ai segni e alle attese autentiche che l'evolversi dei tempi suscita.